Questa sezione raccoglie decisioni rese da diverse giurisdizioni, nazionali, europee e internazionali, sulle tematiche del biodiritto.

Questa sezione raccoglie decisioni rese da diverse giurisdizioni, nazionali, europee e internazionali, sulle tematiche del biodiritto.
Il Tribunale di Trento stabilisce l’inapplicabilità della legge di cittadinanza straniera a difesa dei diritti personali dell’individuo qualora la stessa si dimostri contraria all’ordine pubblico nazionale. Nel caso in esame, infatti, si rileva una discrasia tra disciplina brasiliana e italiana in materia di cambiamento di attribuzione di sesso nei certificati di stato civile.
Inoltre, in ossequio a quanto stabilito dalle precedenti pronunce della Corte Costituzionale - segnatamente sent. 221/2015, 180/2017 e 143/2024 - e dalla sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite del 2015 n. 15138, il Tribunale afferma la non necessità di modificazione chirurgica dei tratti sessuali ai fini del riconoscimento della rettificazione del genere. Da ciò consegue, inoltre, una dichiarata irragionevolezza dell’obbligo di autorizzazione da parte del Tribunale necessario per procedere all’intervento di riassegnazione del sesso, in tutti quei casi in cui quest’ultimo si svolga a seguito della già riconosciuta rettifica del nome e del genere dell’individuo.
La Corte Europea dei Diritti umani ha stabilito che il contenimento prolungato, non necessario e non utilizzato come ultima risorsa per pazienti psichiatrici è considerabile come lesivo dell’art. 3 CEDU integrando la fattispecie di trattamenti inumani e degradanti.
Il Tribunale federale svizzero ha rigettato l’opposizione dei genitori finalizzata ad impedire l’accoglimento dell’istanza di modifica anagrafica del genere, proposta all’ufficio di stato civile dalla figlia minorenne. Secondo la corte, il codice federale svizzero fissa una presunzione di capacità rispetto all’autodeterminazione di genere del minore al compimento dei 16 anni, che solo in casi eccezionali e sulla base di circostanze oggettive può essere opinata dall’ufficiale di stato civile con la richiesta di documentazione sanitaria integrativa.
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 30080/2024, ha stabilito che il datore di lavoro non può licenziare un dipendente disabile che si rifiuti di riprendere servizio in una sede lavorativa incompatibile con la sua condizione fisica, senza prima esplorare soluzioni organizzative alternative che permettano al lavoratore di continuare l'attività lavorativa. Il rifiuto di adottare accomodamenti ragionevoli è stato considerato un atto discriminatorio dalla Corte, che ha quindi disposto il rinvio della causa alla Corte d'Appello per una nuova valutazione, focalizzandosi sull'esame di alternative che consentano la prosecuzione del rapporto di lavoro in modo da soddisfare le esigenze del lavoratore disabile.
La Corte di Cassazione ha riconosciuto che il costo delle prestazioni socio-assistenziali che siano strettamente legate a quelle sanitarie svolte nei confronti di soggetti affetti dal morbo di Alzheimer debbano essere considerate a carico del Sistema Sanitario Nazionale (SSN).
Nel caso Haugen v. Norvegia la Corte EDU ha ravvisato una violazione degli art. 2 (diritto alla vita) e art. 13 (diritto ad un ricorso effettivo) della Convenzione in quanto le autorità norvegesi non hanno tenuto una condotta tale da evitare il suicidio di un soggetto affetto da disturbi psichiatrici durante la sua detenzione carceraria.
La Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter, commi 1, lettera d), e 3, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), sollevata dal TAR Lazio con riferimento agli artt. 2, 3 e 32, secondo comma della Costituzione, in tema di sospensione dal servizio, perdita della retribuzione e mancata erogazione di un assegno alimentare per il personale della Polizia penitenziaria in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale.
Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, il 4 ottobre 2024, ha rigettato la domanda risarcitoria di una donna nei confronti della struttura sanitaria che aveva omesso di informarla del suo stato di gravidanza, in quanto ha ritenuto che l’aver praticato un aborto l’anno precedente e l’essersi sottoposta ad un intervento di sterilizzazione tubarica contestualmente alla gravidanza non costituiscono delle presunzioni da cui poter ricavare la sussistenza della volontà abortiva.
Con la ordinanza 27 settembre 2024, n. 25820, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso proposto da un medico contro la decisione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, la quale aveva deciso di sanzionarlo con la sospensione di quattro mesi dall’esercizio dell’attività medica per aver leso il decoro professionale ricorrendo a pubblicità non trasparente e non veritiera.
Il 24 settembre 2024, la Corte di Cassazione ha rigettato l’impugnazione di una sentenza della Corte d’Appello di Catania, presentata da un medico accusato di aver causato la morte di un neonato. La Corte ha sottolineato come il rispetto delle linee guida sulla responsabilità medica non esoneri automaticamente da colpa grave, soprattutto quando non si siano considerati adeguatamente i fattori di rischio specifici. La sentenza ha dunque ritenuto che, pur non essendo obbligatorio secondo le linee guida il monitoraggio cardiotocografico, nel caso di specie il medico avrebbe dovuto adottare misure di monitoraggio aggiuntive, data la complessità del quadro clinico della paziente, per prevenire l’esito fatale. Pertanto, la Corte ha confermato la condanna per imperizia non lieve.